Trittico delle Nobildonne Suicide

Trittico delle Nobildonne Suicide

L’ispirazione per il trittico delle nobildonne suicide è nata davanti a un dipinto di Joos Van Cleve, esposto al Kunsthistorisches Museum di Vienna. L’intensità del ritratto di Lucrezia mi ha folgorato e riportato a pensare alla relazione tra Eros e Thanatos, pulsione di vita e pulsione di morte. Secondo Freud ogni essere vivente ha un bisogno intrinseco di morire e sembrerebbe proprio che il principio di piacere si ponga al servizio delle pulsioni di morte. In effetti c’è sicuramente una somiglianza tra espressione estatica e dolore, forse il modo per sentirsi più vivi in assoluto o almeno per apprezzare la vita è avvicinarsi alla morte.

Stampe fine art in edizione limitata.

 


 

“Solo il mio corpo è stato violato, il mio animo è puro: te lo proverò con la morte”

(Livio, Libri ab Urbe condita, 1, 58, 7-12)

Lucrezia, nobildonna dell’Impero Romano, a seguito di uno stupro decise di trafiggersi con un pugnale, nonostante il padre e il marito la supplicassero di non farlo: in fondo non era lei la causa del suo disonore. Ma lei si suicidò ugualmente, invocando vendetta sul suo carnefice, sentendosi di fatto vittima di una società che definisce la donna seduttrice di per sé, pensiero dominante tristemente giunto fino ai giorni nostri. Questa storia ne è lo specchio: Lucrezia diventa un’eroina non perché denuncia e chiede giustizia, ma perché rinuncia a vivere un’esistenza macchiata da un presunto peccato. Una brutta storia scritta da un uomo per insegnare alle donne che è meglio la morte del disonore.

 

“Osò maneggiare, ardita, feroci serpenti affinché il corpo assorbisse il nero veleno, più fiera per aver deciso di morire”

(Orazio, Odi, libro 1- carme 37)

La seconda nobildonna suicida del trittico non poteva che essere Kleopatra VII, reincarnazione della dea Iside nonché la regina più influente del mondo antico, armata di un potente esercito e dotata di un fascino irresistibile che usava per conquistare i condottieri più capaci della Repubblica Romana.
Si è tramandata la romantica leggenda che ella si sia suicidata per amore in seguito alla morte di Antonio, io ho il sospetto che sia stata più influente la conquista di Alessandria da parte di Ottaviano. Colei che fu nominata “regina dei re” quando perse il potere, perse anche la vita.

 

“Oh crudele amore, a cosa non spingi i cuori mortali!”

(Virgilio, Eneide, IV 412)

Didone, terza ed ultima protagonista della serie, come Cleopatra fu una grande regina e fondò Cartagine. La leggenda narra che in fuga dal suo regno precedente per problemi di successione, ottiene da un altro re il permesso di stabilirsi nel suo territorio, impossessandosi di un appezzamento grande “quanto ne poteva contenere una pelle di bue”. Didone taglia la pelle del bue in tante piccole striscioline riuscendo così a delimitare un terreno ben più vasto di quanto teoricamente le sarebbe spettato.
Una donna furba che commette l’errore di uccidersi perché lasciata dal suo amore (Enea) e che poi si riscatta negli Inferi, dove torna con l’ex (defunto marito) e rifiuta il mitico eroe. Insomma sembra che d’amore non si muoia mai al cento per cento.